L’acquacoltura estensiva

La prima forma di acquacoltura che è stata praticata consisteva nel catturare animali acquatici selvaggi nelle lagune, negli stagni o in piccoli laghi poco profondi in modo da renderli disponibili in qualsiasi momento.

Questa forma di allevamento risale all’epoca neolitica, quando l’uomo ha iniziato ad agire sulle risorse naturali, ovvero, in Europa, 4000 anni prima della nostra era. Questa pratica minimalista non esiste più oggi in Europa, perché tutti gli allevamenti acquicoli implicano almeno un’interazione tecnica con l’ambiente o con l’animale.

La seconda tappa dell’evoluzione dell’acquacoltura consiste proprio nel non contare più unicamente sulla natura, ma nell’organizzare un ambiente acquatico che favorisca lo sviluppo delle popolazioni di pesci, di molluschi e/o di crostacei. La forma più sofisticata di questa acquacoltura è l’allevamento di carpe in stagni praticato in Cina, di cui si è ritrovata una traccia nel celebre trattato di Fan-Li che risale al V secolo a.C.

E in Europa? Già i romani conservavano le ostriche e ingrassavano pesci nei vivai destinati specificamente a quest’uso. Ma è nel Medio Evo che le tecniche di piscicoltura negli stagni hanno iniziato a essere elaborate, in particolare nei monasteri, che avevano bisogno di alimenti “di magro” adatti ai numerosi giorni di digiuno imposti dalla religione cristiana. Nell’Europa meridionale anche l’allevamento di pesci in acqua salmastra risale a quest’epoca, quando si è iniziato a organizzare lagune e stagni litorali in modo da mantenervi i pesci portati dalla corrente, quali le spigole, le orate e i cefali, spesso in alternanza stagionale con la salicoltura.

Queste forme di acquacoltura derivate da pratiche antiche persistono ai giorni nostri in tutta l’Europa. È il caso della piscicoltura estensiva tradizionale, praticata dalla Lapponia alla Sicilia e dal Kerry alla Tracia. Consiste nel gestire gli stagni (naturali o artificiali) e le lagune in modo da favorire lo sviluppo della fauna acquatica. Tutti gli inverni, i corsi d’acqua sono depurati e fertilizzati con concimi in modo da stimolare la vegetazione acquatica e, di conseguenza, da intensificare la presenza dei microorganismi, dei piccoli molluschi e crostacei, delle larve e dei vermi che costituiscono la base della piramide alimentare acquatica. Ciò ha l’effetto di favorire lo sviluppo degli animali «commerciali» con un rendimento superiore a quello dell’ecosistema naturale.

Nella piscicoltura d’acqua dolce, le specie prodotte in questo modo sono, secondo le regioni, la trota fario, il coregone, il salmerino alpino, l’anguilla, la sandra, il luccio e diverse specie di carpe, pesci gatto, storioni, astacidi e rane. In passato, quest’attività è stata all’origine dell’introduzione di numerose specie non indigene nell’ecosistema europeo, come la trota arcobaleno, il salmerino di fontana, la carpa e diverse specie di rane e di astacidi. Nell’acqua salmastra, le lagune e gli stagni costieri forniscono, secondo la loro situazione geografica, spigole, anguille e diverse specie di orate, cefali, storioni, gamberi e molluschi.