Igiene e sanità nell'acquacoltura
Per ciò che riguarda le sostanze potenzialmente tossiche aggiunte agli alimenti, i rischi possono provenire da additivi non ammessi o presenti in misura superiore ai limiti consentiti, in base alla normativa vigente, e cioè al Decr.MINISAN n.209 del 27-2-1996.
I coloranti non sono generalmente ammessi nei prodotti ittici freschi e trasformati (Decr. Cit., All. IV), salvo (Decr. Cit., All. VI) E 123 Amaranto in uova di pesce (max 30 mg/kg), E 160 b Annatto, Bissina, Norbissina in pesce affumicato (max 10 mg/kg) e una serie di sostanze, riportate nell’All. VII del decreto citato, in paste di pesce e di crostacei, crostacei precotti, succedanei del salmone, surimi, uova di pesce e pesce affumicato.
Elenco specie ittiche e patologie comuni
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La linfocisti é una patologia cronica e benigna sostenuta da uno o più agenti virali che causano un'ipertrofia marcata a livello della cute e delle pinne in più di 100 specie di pesci sia allevati che selvatici. Questa patologia, nota già dal 1914, é causata da uno o più virus appartenenti alla famiglia Iridoviridae. La trasmissione avviene per contatto diretto e in allevamento, quando si stabiliscono elevate densità della popolazione la morbilità é molto elevata, soprattutto se alcune operazioni, da parte dell'allevatore, aumentano i traumi esterni e quindi lo stress. La linfocisti può essere trasmessa per coabitazione, per esposizione ad acqua infetta e non sembra sia coinvolta la via orale. Le popolazioni colpite, che possono appartenere a diversi aree geografiche (acqua dolce, ambiente estuarino e marino) rappresentano un serbatoio per la crescita del virus. Non é stata dimostrata l'esistenza di trasmissione verticale.
Leggi tutto: La linfocisti un vecchio problema, ma ancora attuale
E’ stato evidenziato come nelle trote esista una certa correlazione tra le dimensioni, il colore e la vitalità delle uova. Solitamente anche da colture sane viene prodotto un certo numero di uova non fertili o “bianche”, soprattutto se vengono spremute in un periodo non ottimale: nei casi in cui più del 20% di un lotto non risulta fertile è consigliabile scartarlo. Oltre alle uova sterili, una certa quantità di uova vive vengono perse durante lo sviluppo, in particolare se le uova immature, cioè non embrionate, non vengono maneggiate con cura. Queste ultime, quando muoiono, verranno inevitabilmente infettate da funghi che si diffondono in seguito alle uova sane più vicine.
Leggi tutto: Le patologie delle uova e del sacco vitellino nelle trote
Negli ultimi mesi la stampa e le televisioni di tutto il mondo hanno riferito dei gravi episodi di malattia che hanno interessato diverse specie animali, in particolare ruminanti, suini e volatili.
Per i primi, oltre alla grave problematica della BSE (Encefalopatia Spongiforme Bovina) nelle ultime settimane la comparsa dell’afta, malattia altamente contagiosa che colpisce tutti gli animali ad “unghia fessa”, ha comportato l’abbattimento di migliaia di capi e drastiche misure nella movimentazione degli animali per impedire la diffusione della malattia .
La discussa efficacia della fumagillina e l’impossibilità di utilizzazione del verde malachite hanno reso la malattia del rene proliferante ancora più importante e difficile da curare. Sebbene il periodo estivo sia ancora lontano, vi propongo il lavoro della Dott.ssa Antonella Magni e della Dott.ssa Sandra Zanchetta su questa patologia.
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Uno dei più attuali argomenti di discussione è oggi giorno la disponibilità di farmaci autorizzati per l’utilizzo sulle specie acquatiche allevate. L’acquacoltura sta assumendo sempre più un’identità internazionale sia a livello di commercio di uova e avannotti che di prodotto finito, per cui diviene interessante e quasi inevitabile portare a confronto le realtà presenti nei maggiori paesi produttori europei.
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Descrizione del lavoro
Il patologo delle specie ittiche lavora nel campo dell’acquacoltura e si preoccupa principalmente di assicurare la salute ed il benessere dei consumatori di pesci d’allevamento. Per fare questo, i patologi delle specie ittiche devono preoccuparsi del benessere dei pesci negli impianti di allevamento, adottare tutte le misure preventive necessarie a proteggere la popolazione ittica degli allevamenti dalle malattie e, all’occorrenza, somministrare il trattamento appropriato. Alcuni Patologi delle Specie Ittiche lavorano quasi esclusivamente nei laboratori, specializzandosi in aree quali microbiologia, parassitologia o immunologia.
Tipiche attività di lavoro
La cosa più importante da sottolineare è che il patologo delle specie ittiche ha a che fare con i pesci degli impianti e non con un singolo pesce, a meno che non si tratti di una razza veramente pregiata.
Il compito di un patologo delle specie ittiche è quello di monitorare gli impianti prestando attenzione ai comportamenti anomali quali, ad esempio, perdita d’appetito, nuoto irregolare, mortalità. Questo costante esame clinico del comportamento dei pesci permette di lanciare l’allarme in maniera rapida nel caso si diffondano malattie nell’allevamento.
Nella maggior parte dei casi, le malattie non possono essere diagnosticate solo con questo costante esame clinico, quindi è necessario il supporto di un laboratorio. Nelle avannotterie e negli allevamenti, a volte, sono presenti piccoli laboratori da dove, sulla base dei dati a disposizione, si possono formulare diagnosi iniziali e proposte di azioni da attuare tempestivamente in attesa della determinazione della diagnosi finale.
La selezione, la conservazione, la preparazione e l’esame di campioni biologici è cruciale per una diagnosi corretta. Esiste un numero limitato di farmaci approvati da utilizzare negli organismi acquatici, quindi la sfida è nella corretta applicazione di quest’ultimi a seconda delle diverse malattie. Le cure vengono somministrate principalmente attraverso il mangime. Le dosi dipendono dai quantitativi allevati e dalla temperatura.
La stretta collaborazione tra il patologo delle specie ittiche ed il personale dell’allevamento è un prerequisito cruciale per raggiungere migliori risultati. Il patologo delle specie ittiche istruisce il personale dell’allevamento sull’uso dei metodi e delle pratiche anti-stress per i pesci.
Condizioni contrattuali
Stipendio iniziale:
Può variare da circa 20.000 € fino a raggiungere i 50.000 € per le qualifiche più alte e per i Patologi e Veterinari delle Specie Ittiche già esperti. Il livello dipende anche dalle dimensioni dell’allevamento e dal numero di siti che sono sotto la responsabilità dei Patologi e Veterinari delle Specie Ittiche.
Orario di lavoro
Normalmente un Patologo delle Specie Ittiche che lavora per una azienda di Acquacoltura ha un orario di 8 ore giornaliere. Bisogna comunque tenere in considerazioni che, a causa della natura del lavoro e del fatto che le malattie possono apparire all’improvviso e in qualsiasi momento, l’orario risulta puramente indicativo e poco rilevante. Un Patologo delle Specie Ittiche deve essere reperibile a qualsiasi ora del giorno e in qualsiasi giorno.
Mobilità nel settore
I Patologi delle Specie Ittiche sono molto ricercati dalle imprese del settore e, di solito, non hanno problemi a trovare lavoro.
Disponibilità di lavoro temporaneo o permanente
Molti Patologi delle Specie Ittiche lavorano come liberi professionisti, anche spostandosi in diversi allevamenti di differenti paesi.
Requisiti richiesti
Titolo di studio necessario
Un Patologo delle Specie Ittiche può essere laureato sia in Biologia che in Medicina Veterinaria. Un Veterinario delle Specie Ittiche ha una laurea in Medicina Veterinaria. In entrambi i casi sono necessari anche degli studi post-laurea dato che le patologie dei pesci richiedono ulteriori specializzazioni. In tutta Europa esistono Master post-laurea molto riconosciuti a livello internazionale che offrono studi dettagliati in materia.
Tipico percorso di studi
La laurea in Medicina Veterinaria si consegue in 5 anni. Una laurea in Biologia si consegue in 3 o 4 anni a seconda del paese (es. tre anni in Gran Bretagna, quattro in Grecia). I corsi di Master durano uno o due anni.
In una precedente occasione si era accennato ai programmi di riconoscimento delle aziende di troticoltura, ai sensi del DPR 555/92, soffermandoci sui requisiti strutturali minimi e sulle varie tipologie d'impianto, con particolare riferimento alle specie presenti. Oggi vorrei chiarire attraverso quali passaggi si possa arrivare all'obiettivo del riconoscimento il quale deve rappresentare l'atto finale di un'azione di controllo iniziata, soprattutto per quanto riguarda le zone, qualche tempo prima dei 4 anni previsti per la dimostrazione del reale stato sanitario delle aziende. Il concetto fondamentale su cui si basa il riconoscimento è che i 4 anni di sorveglianza, comprensivi dei due anni di controllo di laboratorio, costituiscono solo la fase finale dell’intero piano di lotta che viene a ufficializzare una situazione di indennità preesistente.
Quanto sopra esposto è deducibile anche dal semplice fatto che il piano di riconoscimento non richiede alcuna azione di disinfezione degli impianti: ciò evidentemente presuppone che a monte sia già stato fatto tutto il necessario per partire da una situazione favorevole.
Prima di aderire ad un programma di riconoscimento è necessario pertanto chiedersi se in passato sia stato attuato nell’azienda o nelle aziende di una zona un regime di prevenzione in grado di escludere ogni possibilità di ingresso in impianto dei patogeni interessati. Ad esempio ci si deve porre alcuni quesiti: quale è stata fino ad oggi l'origine del materiale? i mezzi di trasporti sono stati adeguatamente disinfettati? ogni episodio di mortalità sospetta è stato diagnosticato correttamente? Se a queste semplici domande possono corrispondere tutte risposte favorevoli, ritengo che si abbiano buone probabilità che l'impianto sia effettivamente indenne e, a questo punto, si può aderire con tranquillità al piano di riconoscimento che, ripeto, serve solo a dimostrare ufficialmente lo stato sanitario di un’azienda o di tutte le aziende dell’intera zona.
In caso contrario, quando di fronte a queste domande intervengono dubbi e perplessità, prima di aderire ai piani di controllo indicati dalle linee guida del Ministero, e sottoporsi ai controlli previsti dal DPR 555/92, è necessario verificare il reale stato sanitario delle singole aziende con prelievi frequenti e mirati, da sottoporre alle indagini di laboratorio, consultandosi con i laboratori degli IZS di competenza ed eventualmente con il Centro Nazionale di Referenza dell'IZS delle Venezie. Al termine di queste indagini che possono rientrare in un piano ufficiale di monitoraggio, in presenza di un esito favorevole è lecito aderire al piano di riconoscimento. Se contrariamente si dovesse rinvenire una situazione sfavorevole per la presenza di una o più delle malattie virali comprese nell’elenco II del DPR 555/92, l'allevatore dovrà decidere di continuare o abbandonare ogni volontà di riconoscimento del proprio impianto ma, in caso positivo, si impone l’obbligo dell’eradicazione.
L'esperienza Danese e della Provincia di Trento dimostrano ampiamente che è possibile eradicare queste malattie, se vengono rispettate le direttive impartite, sia da impianti singoli che da intere zone.
Gli allevatori di trote sentono parlare ormai da anni di eradicazione e dei metodi applicati alla lotta alla Setticemia Emorragica Virale (VHS) e della Necrosi Ematopoietica Infettiva (IHN) come l'unica via per eliminare queste malattie dagli impianti. E' chiaro pertanto a tutti il significato della parola eradicazione ma forse non tutti sanno quale siano i metodi da impiegare per ottenere i risultati voluti. Allorquando una di queste malattie entra attraverso una via o un’altra, in un impianto di animali sensibili, è assolutamente improbabile che, senza alcun intervento, la stessa malattia possa estinguersi naturalmente; caso mai può rimanere allo stato latente per un periodo più o meno lungo, specie se esistono condizioni ottimali di tipo ambientale e/o manageriale, quali ad esempio l'elevata temperatura. Comunque presto o tardi, se non sono state attivate drastiche azioni di lotta, la sua presenza non tarderà a mostrare i propri effetti.
L'eradicazione rappresenta l'insieme delle operazioni che consentono di eliminare l'agente causale della malattia, da una singola azienda o da un intero territorio. Nel caso di queste malattie si tratta di due virus appartenenti alla stessa famiglia: essi sono i responsabili della VHS e della IHN e la nostra azione deve essere rivolta nei loro confronti, cercandoli e combattendoli in ogni angolo ed anfratto dell'impianto; nei pesci morti ed infetti; nell'acqua contaminata; nel fango, sotto gli stivali degli operai, sulle attrezzature, sul tavolo dove i riproduttori vengono “spremuti” nel corso della riproduzione; nelle uova appena spremute e in quelle già in fase di incubazione. Ovunque questi virus possono annidarsi e costituire una continua fonte di infezione. Quando l'allevatore decide, con convinzione, di voler affrontare queste malattie, allora la battaglia spesso deve considerarsi praticamente vinta, almeno per quanto riguarda le singole aziende. Quando invece si tratta di eradicare un intero bacino idrografico, si richiede un impegno maggiore che deve interessare contemporaneamente o in tempi lievemente diversi, tutte le aziende presenti nello stesso bacino. Comunque gli interventi dovranno procedere da monte verso valle.
L'estate rappresenta sicuramente il periodo migliore, infatti l'elevata temperatura ostacola la sopravvivenza del virus nell'ambiente esterno ed inoltre, in queste condizioni, gli eventuali portatori presenti nei corsi d'acqua guariscono più velocemente.
La presenza di un coordinatore, meglio se identificato all'interno del servizio veterinario ufficiale, costituisce una condizione essenziale per il buon esito dell'operazione finale, facilitando ed uniformando gli interventi nelle diverse realtà produttive. L'esempio della Danimarca dove a partire da circa 400 impianti infetti nel 1965 si è giunti a 15 impianti infetti nel 1998, costituisce senz’altro la testimonianza più concreta e valida nella lotta alla VHS ed è per questo motivo che altri Paesi hanno ritenuto, in seguito, di dover seguire la stessa metodologia d'intervento. Si tratta ovviamente di operazioni difficili e complesse che, in alcuni territori ad elevata prevalenza d'infezione potranno portare a risultati definitivi solo nel tempo, ed è per questo motivo che nessuno deve illudersi o illudere altri che interi bacini possano liberarsi definitivamente dalle malattie in esame nel breve volgere dei quattro anni più volte citati e previsti dalle normative ufficiali. Più spesso infatti sono stati necessari anni ed anni di lotta per eradicare completamente la malattia. Pertanto è importante sottolineare, soprattutto nel caso del riconoscimento delle zone, che i
quattro anni previsti dalla normativa, serviranno solo a dimostrare ufficialmente l'assenza della malattia nel territorio considerato.
In attesa di un documento ufficiale che indichi definitivamente la metodologia da seguire per le operazioni di eradicazione dei virus dei salmonidi si è voluto dare qualche suggerimento, sulla base dei metodi ampiamente collaudati in territori coma la Danimarca, la Norvegia e la provincia di Trento, per coloro che hanno necessità di iniziare, in tempi brevi, il risanamento dei propri impianti.
Svuotamento degli impianti
Tutti i bacini d'allevamento compresi nell'impianto devono essere svuotati dal pesce e dall'acqua presente. L'acqua di alimentazione dell'impianto deve essere deviata e quella che rimane nei bacini deve essere rimossa con l’impiego di pompe o altro. Il pesce, se proveniente da un impianto infetto, in accordo a quanto previsto dal DPR 263 /97 potrà essere venduto al mercato o trasferito in un altro impianto di analogo stato sanitario. Le operazioni di svuotamento che interessano più impianti nello stesso bacino vanno eseguite di preferenza contemporaneamente o, in caso di difficoltà tecniche, è assolutamente necessario iniziare da monte e proseguire verso valle. E' essenziale che durante tutto il periodo di trattamento gli impianti siano mantenuti a secco e in caso di difficoltà a prosciugare parti di bacino queste dovranno essere trattate con quantità maggiori di disinfettante assicurandosi che il principio attivo non venga diluito eccessivamente.
Pulizia e disinfezione
Prima di procedere alla disinfezione dell'allevamento tutti i bacini devono essere preventivamente puliti il che significa che è necessario allontanare quanto più possibile il materiale organico presente. Evidentemente questa operazione sarà più facilmente attuabile nei bacini in cemento rispetto ai più vecchi bacini in terra dove questo passaggio sarà senz’altro meno facile.
Dopo aver rimosso l’eccesso di materiale organico si può iniziare il trattamento di disinfezione che dipenderà dalla natura del bacino. Ancora una volta si deve ripetere che i bacini in cemento assicurano un risultato migliore in quanto facilmente trattabili. In questo caso vengono suggeriti l'impiego del cloro o della soda che potranno essere irrorati direttamente sulle superfici pulite. Per quanto riguarda la concentrazione di questi principi attivi il cloro viene normalmente impiegato come ipoclorito ( la normale candeggina del commercio) ad una concentrazione finale di cloro attivo del 1-2%, lasciando asciugare normalmente. La soda viene invece utilizzata in soluzione al 1% ed irrorata in ragione di 1 litro/mq come soluzione costituita da : Idrossido di sodio 100 gr.; Idrossido di calcio 2000gr; acqua 10 litri.
Nel caso di bacini in terra viene impiegata la calce viva (CaO) che deve essere dispersa sul terreno in dosaggio di 0,5-1 Kg/mq. E' indispensabile che dopo il trattamento non seguano giornate piovose altrimenti si rende necessario ripeterlo per essere certi dell'efficacia dello stesso. Lo stesso trattamento deve essere esteso a tutti gli argini e percorsi interni dell'impianto.
Ovviamente tutta l'attrezzatura presente nell'azienda deve essere preventivamente pulita mediante l'impiego di getti a pressione con aggiunta di detergenti e quindi disinfettata. Ancora una volta si possono consigliare l'uso del cloro o della formalina che può essere utilizzata anche per la disinfezione dei locali come fumigazione.
Qualunque sia il metodo di disinfezione impiegato l'utilizzo dei principi attivi sopra suggeriti richiede l'adozione di idonee misure di sicurezza per evitare ogni rischio per la salute degli operatori. Per questo motivo si raccomanda di non sottovalutare qualsiasi operazione e di impiegare indumenti di protezione nonché maschere dotate di filtri attivi.
E' indispensabile inoltre che il Servizio Veterinario Ufficiale sovrintenda le operazioni eseguite soprattutto in "zone continentali" dove la malattia è stata precedentemente diagnosticata, in quanto la normativa prevede, per giungere al riconoscimento delle aziende interessate, che il focolaio venga estinto,
obbligatoriamente mediante eradicazione.
Il vuoto sanitario deve durare almeno 4 settimane se condotto durante stagioni in cui la temperatura dell'acqua non scenda sotto ai 10°C, in caso contrario si rende necessario estendere a 2-4 mesi il periodo di vuoto biologico.
Ripopolamento degli impianti ed adozione di alcune misure di prevenzione
Gli impianti risanati devono essere ripopolati con uova o pesci provenienti da aziende riconosciute secondo il DPR 555/92. Altre certificazioni fornite dal servizio veterinario che certificano che la partita non presenta segni clinici di malattia non sono sufficienti a garantire lo stato sanitario dell'azienda di provenienza e pertanto non possono essere accettate per questo scopo.
Per evitare rischi di trasmissione della malattia attraverso i mezzi di trasporto è auspicabile che in ogni azienda venga predisposta una piazzola di carico e scarico, lontana dai bacini di allevamento dove l'acqua eventualmente scaricata non abbia alcuna possibilità di arrivare nell'impianto.
L'ingresso ed avvicinamento ai bacini di allevamento presenti in azienda deve essere consentito solo al personale strettamente impiegato. Persone esterne all'azienda, in quanto potenziali veicoli d'infezione, devono essere rifornite di idonei calzari e non devono venire a contatto con il pesce allevato.
In molti casi la vicinanza di aziende infette dovrebbe suggerire l'adozione di ulteriori misure quali ad esempio l'istallazione di reti anti-uccelli i quali possono costituire un reale rischio di infezione.
Per concludere questa breve relazione sui metodi di eradicazione impiegati vorrei ancora una volta sottolineare che questi piani di risanamento quando coinvolgono una o più zone continentali richiedono sforzi continui che spesso richiedono anni e certamente superano i quattro anni teorici previsti dalla normativa per ottenere il riconoscimento. Eventuali reinfezioni nel corso delle operazioni non devono essere interpretate come un fallimento definitivo ma come un piccolo passo avanti nell'obiettivo finale della eliminazione della malattia del territorio. Spero di aver contribuito a chiarire la filosofia dei piani di controllo applicate a queste malattie e
dissipare alcuni dubbi sulla metodologia da seguire; in caso contrario io ed i colleghi del mio Istituto siamo pronti per qualsiasi aiuto.
Dr. Giuseppe Bovo
Centro di Referenza Nazionale per l'Ittiopatologia
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie - Legnaro (Padova)
Allo scopo di fornire un’informazione completa sulle misure di polizia sanitaria per la commercializzazione di animali e prodotti di acquacoltua, in riferimento anche alladisciplina della semina in acqua pubbliche di pesci e uova embrionate, di seguio elenchiamo le:
Normativa Comunitaria di Riferimento
- Direttiva 93/53/CEE del 24 giugno 1993 - Direttiva del Consiglio recante misure comunitarie minime di lotta contro talune malattie dei pesci.
- Direttiva 91/67/CEE del 28 gennaio 1991 - Direttiva del Consiglio che stabilisce le norme di polizia sanitaria per la commercializzazione di animali e prodotti d'acquacoltura.
Normativa Italiana
Decreti del Presidente della Repubblica
- D.P.R. n. 425 del 24 ottobre 2001 - Regolamento di attuazione della direttiva 2000/27/CE, che modifica la direttiva 93/53/CEE, recante misure comunitarie minime di lotta contro talune malattie dei pesci.
- D.P.R. n. 543 del 16 dicembre 1999 - Regolamento recante norme di attuazione della direttiva 98/45/CEE concernente norme di polizia sanitaria per la commercializzazione di animali e prodotti di acquacoltura.
- D.P.R. n. 263 del 03 luglio 1997 - Regolamento di attuazione della direttiva 93/53/CEE recante misure comunitarie minime di lotta contro talune malattie dei pesci.
- D.P.R. n. 555 del 30 dicembre 1992 - Regolamento per l'attuazione della direttiva 91/67/CEE che stabilisce norme di polizia sanitaria per i prodotti di acquacoltura - (Modificato dal Decreto 29/01/97)
- D.P.R. n. 320 del 08 febbraio 1954 - Regolamento di polizia veterinaria
Decreto del Ministero della Sanità
- Decreto del Ministero della Sanità del 29 gennaio 1997 - Modificazioni al Decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1992, n. 555, recante regolamento di attuazione alla direttiva 91/67/CEE che stabilisce le norme di polizia sanitaria per la commercializzazione di animali e prodotti dell'acquacoltura.
Ordinanza del Ministero della Salute
- Ordinanza del Ministero della Salute del 11 ottobre 2001 - Misure di polizia veterinaria per la semina in acque pubbliche di pesci e uova embrionate.
- Ordinanza del Ministero della Sanità del 02 settembre 1996 - Misure di lotta contro la setticemia emorragia virale e la necrosi ematopoietica infettiva dei pesci.
- Ordinanza del Ministero della Sanità del 10 maggio 1991 - Norme per la profilassi di malattie di animali.
Circolari Ministero della Salute
- Circolare del Ministero della Salute n. 600.7...254 del 09 aprile 2002 - O.M. 11 ottobre 2001. Misure di polizia veterinaria per la semina in acque pubbliche di pesci e uova embrionate.
- Circolare del Ministero della Sanità n. 600.7...1260 del 6 dicembre 1999 - Linee guida per il riconoscimento di aziende di acquacoltura indenni da setticemia emorragica virale e necrosi ematopoietica infettiva situate in zone continentali non indenni.
- Circolare del Ministero della Sanità n. 600.7...2129 del 31 agosto 2000- Linee guida per il riconoscimento di zone continentali indenni da setticemia emorragica virale e necrosi ematopoietica infettiva.
- Circolare del Ministero della Sanità n. 600.7...809 del 24 giugno 1999- Registro integrato -Modalità di tenuta dei registri previsti dal DPR 600/73 e dal DPR 263/97.
- Circolare del Ministero della Sanità n. 600.7...866 del 15 luglio 1999 - Misure di lotta contro la setticemia emorragica virale e la necrosi ematopoietica infettiva- riconoscimento comunitario aziende e zone indenni ai sensi del DPR 555/92.
Tutte le norme sopra elencate possono essere scaricate dal sito dell’API
ULTERIORI NORMATIVE DI RIFERIMENTO
− Decisione della Commissione 92/532/CEE del 19 novembre 1992 – Piani di campionamento e metodi diagnostici per individuare e confermare alcune malattie dei pesci.
− Direttiva 93/54/CEE del Consiglio del 24 giugno 1993 – recante modifica della direttiva 91/67/CEE che stabilisce le norme di polizia sanitaria per la commercializzazione di animali e prodotti d’acquacoltura.
− Direttiva 95/22/CE del 22 giugno 1995 - ecante modifica della direttiva 91/67/CEE che stabilisce le norme di polizia sanitaria per la commercializzazione di animali e prodotti d’acquacoltura.
− Decisione della Commissione 96/240/CE del 5 febbraio 1996 - che modifica la decisione 92/532/CEE che stabilisce i piani di campionamento ed i metodi diagnostici per individuare e confermare alcune malattie dei pesci (testo rilevante ai fini del SEE).
− Direttiva 98/45/CE del Consiglio del 24 giugno 1998 - che modifica la direttiva 91/67/CEE che stabilisce le norme di polizia sanitaria per la commercializzazione di animali e prodotti di acquacoltura.
− Ministero delle Finanze, Circolare n. 55/e del 24 marzo 1999 – Attività di piscicoltura. Modalità di tenuta dei registri previsti dal DPR 600/73 e dal DPR 263/97.
− Decisione 1999/567/CE del 27 luglio 1999 – che stabilisce il modello del certificato di cui all’articolo 16, par. 1, della Direttiva 91/67/CEE del Consiglio.
− Direttiva 2000/27/CE del Consiglio del 02 maggio 2000, che modifica la direttiva 93/53/CEE recante misure comunitarie minime di lota contro talune malattie dei pesci.
Grazie alla loro composizione in nutrienti le carni degli animali acquatici sono tra i più importanti alimenti per l’uomo ed i nutrizionisti ne raccomandano un uso costante in tutte le fasce di età e nei diversi stati fisiologici.
Questi alimenti, se opportunamente trattati e conservati sia allo stato fresco che congelato, sono considerati tra i più sicuri da un punto di vista igienico sanitario, anche se tra alcune specie che vivono allo stato selvatico sono presenti delle sostanze tossiche naturali che possono provocare gravi danni ai consumatori. Inoltre i pesci selvatici che vivono in acque contaminate possono contenere “residui” di sostanze chimiche potenzialmente dannose. Infine i pesci, ma anche i molluschi ed i crostacei, possono essere il veicolo di microrganismi patogeni per l’uomo anche se, apparentemente, il loro stato di salute è ottimale.
Una risposta positiva per garantire ulteriormente il consumatore può venire dall’acquacoltura. Infatti, allevando i pesci in ambienti controllati ed utilizzando mangimi a loro volta controllati per l’assenza di contaminanti pericolosi, è possibile ottenere delle carni che da un punto di vista igienico-sanitario possono essere migliori di quelle degli animali selvatici che hanno vissuto in acque contaminate.
L’allevamento di animali acquatici presenta però numerosi problemi di cui forse il più importante è rappresentato dal rischio della comparsa e della rapida diffusione delle malattie a carattere infettivo, che oltre a compromettere lo stato di salute degli animali ed anche la qualità igienico sanitaria delle carni prodotte, possono anche ridurre drasticamente la produttività delle aziende con gravi ripercussioni economiche.
In ogni caso è importante rilevare l’impegno degli allevatori per mantenere le acque in cui vivono gli animali in condizioni igieniche ottimali, inoltre è opportuno effettuare degli interventi di profilassi vaccinale e, nel caso della comparsa di malattie, intervenire con farmaci adeguati.
Per ottenere e mantenere in buone condizioni di salute gli allevamenti è necessario di poter disporre di disinfettanti ambientali, prodotti immunologici e farmaci da utilizzare nelle varie occasioni, tenendo comunque presente che il loro impiego non è esente da rischi per la salute degli animali, dei consumatori ed anche per l’ambiente.
Gli animali acquatici che vengono esposti ai vari prodotti possono andare incontro a patologie iatrogene anche molto serie che possono provocare delle morie: basti pensare al rischio dell’impiego del rame o della formaldeide come disinfettanti delle vasche, che ad elevate concentrazioni possono essere letali per alcuni pesci.
Per i consumatori può esserci il rischio della presenza di residui nelle carni dei pesci di farmaci veterinari che vengono somministrati. Le varie sostanze che risultano utili ed efficaci in acquacoltura a volte possono possedere pericolose attività tossicologiche che ne compromettono le possibilità applicative anche in considerazione del fatto che i pesci hanno “ritmi” metabolici più lenti degli animali a sangue caldo e le deplezione dei residui può essere molto ritardata.
Altro aspetto importante da prendere in considerazione è quello dei rischi ambientali. Gli allevamenti degli animali acquatici non sono confinati ed isolati dall’ambiente circostante per cui gli effluenti che contengono residui alimentari, deiezioni, ecc., possono facilmente “contaminare” un intero bacino sia esso un lago, un fiume o il mare. Pur tenendo conto che esiste quasi sempre un fattore di diluizione molto elevata, non si possono escludere
effetti tossici su altri organismi acquatici ed anche fenomeni di bioaccumulo in organismi animali o vegetali presenti.
Tra i farmaci che vengono impiegati in acquacoltura quelli ad attività antibatterica rivestono un ruolo di fondamentale importanza; questi farmaci presentano un rischio molto importante che è quello della farmacoresistenza indotta nei batteri. Si tratta di un fenomeno molto importante che si manifesta con maggiore frequenza quando le sostanze antibatteriche sono presenti a concentrazioni modeste e nelle condizioni ambientali che caratterizzano gli allevamenti possono istaurarsi questi fenomeni.
I vari problemi che sono stati elencati sono ampiamente previsti dalle vigenti disposizioni di legge ed infatti in acquacoltura, come in ogni altra forma di allevamento, possono essere impiegati soltanto vaccini, farmaci, antibatterici e disinfettanti che risultino inseriti in “liste positive” e quindi sono state valutate per le loro caratteristiche di efficacia e di sicurezza di uso. Il lavoro di Guandalini, “Vademecum - Farmaci e disinfettanti utilizzabili inacquacoltura in Italia e nei paesi UE”, realizzato dall’Api con il contributo del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, dimostra quale sia il rigore che le autorità sanitarie applicano nella registrazione dei farmaci veterinari offrendo nel contempo un punto di riferimento tutti coloro che operano a vario titolo nel settore dell’acquacoltura riguardo un corretto utilizzo degli stessi.
Va anche aggiunto che i farmaci, sotto qualsiasi forma, possono essere impiegati soltanto a seguito di una prescrizione di un veterinario che, prima della ricetta, deve aver fatto una diagnosi della malattia che si deve curare. Purtroppo, almeno in Italia, le specialità medicinali ed anche i prodotti per i trattamenti di bonifica e disinfezione degli impianti registrati, non sono molti e ciò rappresenta un limite per i veterinari e gli allevatori che non dispongono di un “armamentario” farmaceutico adeguato. Sarebbe molto utile se le aziende farmaceutiche specializzate, utilizzando i farmaci per i quali esiste un MRL per i pesci, intensificassero gli sforzi per registrare nuove specialità in modo da fornire una più vasta gamma di prodotti. D’altra parte gli allevatori dovrebbero a loro volta porre la massima attenzione possibile ad evitare abusi o usi impropri di farmaci veterinari per pesci anche per evitare le lamentele delle industrie farmaceutiche che non trovano conveniente investire in ricerca in un settore che, come dicono, non offre sufficienti margini di guadagno.
L’impiego dei farmaci in acquacoltura comporta degli importanti benefici e non soltanto economici, ma anche nella qualità igienico sanitaria degli alimenti di origine ittica; i rischi sono commisurati al rispetto delle norme da parte degli allevatori. Tale rispetto comporta la sicurezza pressoché totale per gli animali, l’uomo e l’ambiente e, sicuramente, verrà apprezzato dai consumatori che potranno acquistare e mangiare in tutta tranquillità i pesci, molluschi e crostacei dei nostri allevamenti preferendoli magari ai tanti (e forse troppi) prodotti di importazione.
Agostino Macrì
Dipartimento di Sanità Alimentare ed Animale
Istituto Superiore di Sanità – Roma
Con il sopraggiungere della stagione calda, si ritorna a parlare insistentemente degli "streptococchi", divenuti oramai la patologia estiva che più colpisce la troticoltura italiana e che sta diffondendosi anche in altre nazioni a vocazione troticola. Oramai quasi ogni allevatore di trote è venuto in contatto nel suo allevamento con questa vera e propria piaga: è per questa sua vasta distribuzione nelle troticolture e per i suoi devastanti effetti, che è da ritenersi senz'altro la principale malattia che colpisce la trota iridea, nell'arco della sua vita commerciale.
Le streptococcosi ittiche presentano una diffusione cosmopolita, colpendo un vasto numero di specie allevate e selvatiche, sia dulciacquicole che marine.
La prima segnalazione di questa malattia venne effettuata in Giappone nella trota iridea nel 1958; seguirono quelle dagli Stati Uniti nei pesci da esca (1966), dal Golfo del Messico in specie estuarine (1974) e, nella seconda metà degli anni '70, dal Giappone e dal Sud Africa in diverse specie ittiche. Nella seconda metà degli anni '80 tale malattia compare in Europa e nei paesi del bacino del Mediterraneo; nel 1986 penalizza fortemente l'allevamento della trota iridea e della tilapia in Israele, mentre nel 1988 viene diagnosticata in Spagna. Ma è negli anni '90 che tale patologia manifesta al massimo la sua pericolosità sul territorio europeo, colpendo diverse specie allevate: nell'estate 1991 fa la sua comparsa in Italia, in allevamenti di trota iridea, mentre nel 1994 si segnalano casi di streptococcosi anche nel rombo in Spagna. Recentemente sono stati riscontrati diversi focolai anche in territorio francese.
Basandosi esclusivamente sulla tassonomia tradizionale, con valutazione delle caratteristiche fenotipiche dei germi, si è spesso andati incontro ad imprecisioni sulla classificazione dei batteri implicati. La tassonomia molecolare invece è riuscita a far luce sull'eziologia della "streptococcosi ittica", dimostrando che sono implicati almeno 4 generi diversi e 7 specie di cocchi gram positivi. Fino a questo punto si è parlato della streptococcosi ittica come di una patologia unica; invece, sebbene i segni clinici e la mortalità siano, per la maggior parte dei casi, analoghi, si devono distinguere due gruppi di malattie. Schematicamente possiamo dividere le streptococcosi ittiche in "streptococcosi d'acqua calda" e "streptococcosi d'acqua fredda", a seconda che causino mortalità al di sopra o al di sotto dei 15° C; questo tipo di classificazione risulta essere semplicistico, ma distingue in modo esauriente le due tipologie di malattie causate da cocchi: la soglia di temperatura alla quale si manifestano le due patologie, è una soglia puramente teorica, in quanto, soprattutto per la streptococcosi d'acqua calda, le manifestazioni cliniche sono presenti anche al di sotto di tale temperatura.
Agenti eziologici della "streptococcosi d'acqua calda", patologia segnalata più di frequente, sono 4 specie di cocchi: Lactococcus garvieae (presente in Italia e Spagna in trota iridea), Streptococcus iniae (presente in Israele, in trota iridea, tilapia e in alcune specie marine), Streptococcus agalactiae (presente in Israele, in tilapia) e Streptococcus parauberis (presente in Spagna, in rombo). Per la "streptococcosi d'acqua fredda" invece, Vagococcus salmoninarum è la specie maggiormente implicata (presente in Francia ed Italia in trota iridea); seguono Carnobacterium piscicola e Lactococcus piscium.
Nell'ambito delle "streptococcosi d'acqua calda" sono ancora da distinguere, in relazione alla gravità ed alle lesioni riscontrabili, due patologie: la lattococcosi, sostenuta da L. garvieae e la streptococcosi propriamente detta, sostenuta da S.iniae. La prima ha un andamento decisamente iperacuto-acuto, con una mortalità molto elevata, mentre la seconda presenta un andamento cronicizzante, con minor mortalità.
In Italia, fino ad oggi, sono state segnalate la lattococcosi e la vagococcosi; la streptococcosi propriamente detta è presente fino a questo momento solo in Israele.
La lattococcosi (L. garvieae) è la patologia sostenuta da cocchi gram positivi più diffusa sul territorio italiano e per questo più studiata. Fin dalla sua prima apparizione nel 1991, ha causato elevatissimi danni alle troticolture italiane della pianura padana, con mortalità elevatissime, oscillanti tra il 50 ed il 70% a seconda delle annate. Colpisce le trote di tutte le taglie con maggiore predilezione per quelle di taglia superiore, dove provoca mortalità ingenti. La sintomatologia in vasca è caratteristica ed ogni allevatore che convive con tale malattia l’ha ben presente: oltre ad un comportamento letargico dei soggetti, che nuotano superficialmente al fondo delle vasche e vicino alle griglie, sono evidenti la melanosi ed il caratteristico esoftalmo bilaterale che porta alla protrusione dei globi oculari, che in alcuni casi arriva allo scoppio vero e proprio ed alla completa espulsione. Si osserva inoltre la presenza di ano estremamente arrossato e congesto, spesso con fuoriuscita di materiale mucoso bianco-giallastro. I soggetti con patologia conclamata non si alimentano, per l'instaurarsi di una precoce anoressia e giungono ben presto a morte. Il quadro anatomopatologico è altrettanto caratteristico, in quanto si osserva evidente esoftalmo, accompagnato da opacamento della cornea. All'apertura della cavità celomatica si evidenziano pericardite, emorragie sparse a tutti i visceri, soprattutto a livello di fegato, grasso periviscerale e vescica natatoria e splenomegalia; si apprezzano inoltre marcati fenomeni di meningite e di enterite emorragica. La precoce anoressia, accompagnata dai sempre più frequenti problemi di antibiotico-resistenza, rende tale patologia difficilmente trattabile con i comuni presidi terapeutici.
La vagococcosi (sostenuta da V. salmoninarum) è invece una malattia ad andamento cronicizzante che colpisce soprattutto soggetti di grossa taglia (superiore ai 100 g). E’ comparsa con una certa frequenza solamente da pochi anni sul nostro territorio, ma sta diffondendosi in modo preoccupante. Patologia tipicamente d'acqua fredda, con temperature ideali di crescita dell’agente eziologico intorno agli 8-10° C. La sintomatologia è del tutto analoga alla precedente, tanto da essere praticamente indifferenziabile dal punto di vista clinico, in quanto a tali temperature anche la lattococcosi presenta un andamento meno grave. La mortalità accertata fino a questo momento si attesta intorno al 20-30% annuo, alimentando notevolmente le preoccupazioni degli allevatori e dei ricercatori. Le lesioni sono caratterizzate da cheratite ed emorragie oculari, anemia branchiale ed epatica, emorragie a carico di fegato, vescica natatoria e peritoneo, splenomegalia e pericardite, iperemia ed edema delle meningi. Anche in questo caso la terapia antibiotica risulta essere poco efficace per l'anoressia che si instaura precocemente e per la facile resistenza indotta.
Per la lattococcosi, a differenza della vagococcosi, da diversi anni oramai, si è intrapresa la strada della profilassi vaccinale per via intraperitoneale che ha fornito dati incoraggianti. L'iniezione intraperitoneale porta ad una immunità abbastanza solida e duratura (da 3 a 5 mesi a seconda del tipo di vaccino). Sono attualmente allo studio anche interventi vaccinali per os, mediante vaccino da somministrare attraverso il mangime e per bagno.
La Streptococcosi ittica è un argomento di grande attualità: grazie agli studi finora effettuati, in gran parte da ricercatori dell'IZS di Torino ed israeliani, si è giunti a molte conoscenze che però necessitano di ulteriori approfondimenti. Nel prossimo triennio probabilmente sarà possibile ottenere altri buoni risultati nel controllo di queste malattie, anche grazie alla ricerca finanziata dal Ministero della Sanità e dalla Comunità Europea, a cui partecipano Israele, Francia ed Italia, con 3 centri di ricerca (IZS di Torino, di Perugia e di Brescia) ed alla ricerca di singole ditte private. E' opportuno che anche gli allevatori collaborino, per quanto può essere di loro competenza, a queste ricerche, in modo da conoscere al meglio queste patologie, per poterle combattere.
Marino Prearo